Progetto Transaqua - Introduzione
L’ACQUA, FONTE DI CIVILTA’
E’ superfluo ricordare che le grandi civiltà del passato si sono tutte sviluppate lungo corsi d’acqua perenni ed abbondanti: il Nilo, il Tigri, l’Eufrate, per ricordare solo le antiche civiltà medio-orientali che tanto hanno influenzato anche il continente europeo.
Non è invece superfluo notare che le civiltà si sono straordinariamente sviluppate lungo questi corsi d’acqua che attraversavano zone semi-aride o addirittura desertiche le quali venivano messe a coltura mediante l’uso irriguo delle acque stesse. I bacini imbriferi che alimentavano, come alimentano, questi “storici” fiumi erano distanti centinaia, talvolta migliaia, di chilometri ed erano, come sono, rappresentati da zone montagnose, interessate da intense precipitazioni, spesso coperte da foreste e comunque inadatte, sia alle coltivazioni agricole che all’allevamento del bestiame.
Fiumi come il Rio delle Amazzoni, che percorrono il loro stesso bacino imbrifero ricoperto da foreste pluviali senza vocazioni agricole a causa dell’assedio forestale generato dalla eccessiva piovosità, non hanno consentito la evoluzione di particolari civiltà, ma solo il mantenimento di comunità autoctone mantenutesi all’interno della stessa vegetazione forestale che, ad un tempo, le ha protette ed isolate.
I DUE BACINI A CONFRONTO
Due situazioni idroclimatiche opposte come quelle sopra descritte si verificano nel centro del continente africano. A poco più di mille chilometri di distanza in linea d’aria, due enormi bacini imbriferi adiacenti fra di loro – il bacino del Ciad e il bacino dello Congo - testimoniano situazioni climatiche e ambientali estreme ed opposte.
Il Ciad, in piena area sahelica, colpito oramai da decenni di siccità, ha visto il lago omonimo, una volta fonte di vita per una diecina di milioni di abitanti insediati sulle sue rive, ritirarsi fino a ridursi a circa un ventesimo della sua iniziale superficie, mettendo a rischio di sterminio per fame milioni di capi di bestiame e costringendo buona parte di quelle popolazioni ad un esodo massiccio verso zone di pascolo ancora sfruttabili a Sud e ad Ovest del Lago.
La Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) essenzialmente costituita, dal punto di vista geomorfologico, da una vasta conca posta a cavallo dell’equatore e pertanto sempre interessata durante tutto l’arco dell’anno, da abbondanti piogge drenate dal fiume Congo – dopo il Rio delle Amazzoni, il secondo fiume del mondo, in quanto ad estensione del bacino imbrifero: 3.690.000 Kmq. – che disperde circa 1.900 miliardi di metri cubi all’anno nell’Oceano Atlantico. L’immensa massa d’acqua che il fiume riversa nell’Oceano riesce a dolcificare il mare per un raggio di oltre 20 Km., mentre la sua corrente è sensibilmente percepibile fino a circa 50 Km. a largo dell’estuario, dove il colore marrone delle sue acque si distingue dal blu dell’oceano.
I due bacini imbriferi sono separati , in territorio centrafricano, da uno spartiacque che divide in due parti la Repubblica Centrafricana secondo una direzione Est-Ovest. A Sud di questo spartiacque le forti precipitazioni formano vaste aree paludose spesso di ostacolo allo sviluppo agricolo, mentre a Nord la siccità del Sahel offre uno dei quadri più foschi ed inquietanti del continente africano.
Al Sud di questo spartiacque l’assedio forestale non consente, nelle zone a maggior piovosità, un adeguato sviluppo socio-economico, mentre a Nord le popolazioni autoctone hanno da anni esaurito, oltre ai pascoli, anche alberi e arbusti abbattuti e bruciati per cucinare gli scarsi alimenti.
La contrapposizione di queste due realtà appare sempre più “inaccettabile” nel quadro fosco della siccità del Sahel.
IL LAGO CIAD
Una presenza “storica” che ha consentito fino ad alcuni decenni orsono la sopravvivenza e lo sviluppo dignitoso di qualche milione di persone nell’area del Sahel africano, è rappresentata dal Lago Ciad. Per le sue dimensioni, più che di un lago, si tratta di un vero e proprio mare in pieno deserto.
Il Lago Ciad, quale esiste attualmente, o meglio quale esso esisteva fino a qualche decennio orsono, è il residuo di un paleolago molto più esteso delle attuali dimensioni e costituisce il più gran bacino endoreico africano. Esso copre una parte del territorio del Ciad, della Nigeria, del Camerun, e del Niger, nel cuore della regione sahelica, a baluardo del deserto avanzante.
Trattandosi di un’area endoreica, ovvero senza emissari, la superficie del Lago Ciad ha subìto, nel corso degli anni, notevoli variazioni di superficie in funzione degli andamenti climatici, con grave pregiudizio per la manutenzione dei “polders” agricoli realizzati intorno alle sue rive,per la riduzione delle attività ittiche ed anche per gli ostacoli che si frappongono ai trasporti lacustri fra le popolazioni rivierasche dei quattro Paesi bagnati dalle sue acque.
Sulla scorta di dati di archivio piuttosto imprecisi, sembra che sul finire dell’800 il lago abbia raggiunto il suo massimo livello idrico, (50.000 Kmq. di superficie ?) tanto da allagare il Bahr El Ghazal per centinaia di chilometri fertilizzando questa vasta “enclave” per alcuni anni, durante i quali fiorirono l’agricoltura, la pastorizia e la pesca. Al contrario, intorno al 1910 si verificò una gran siccità che si protrasse per alcuni anni riducendo il lago alla superficie del solo bacino meridionale per poi raggiungere di nuovo in pochi anni il suo stato di “normalità” che si è mantenuto tale fino agli inizi degli anni 60 ricoprendo una superficie intorno ai 25.000 kmq. Da allora una continua diminuzione delle precipitazioni nei bacini imbriferi degli immissari del lago, ne hanno progressivamente abbassato il livello compromettendone la sua stessa esistenza.
I periodi di forte siccità si sono alternati, negli ultimi decenni, con periodi di maggiore piovosità con incidenza sempre prevalente dei primi sui secondi. La siccità stagionale è una caratteristica costante che provoca abbassamenti dei livelli del lago di uno/due metri, riducendone stagionalmente la superficie anche di 8/10.000 Kmq., ma negli ultimi decenni si sono verificati abbassamenti delle acque fino a 6/7 metri e riduzioni stagionali della superficie fino a 15.000/20.000 Kmq. Questa tendenza degli ultimi 35/40 anni indica oramai che anche il lago Ciad rientra nel fenomeno più generale della progressiva desertificazione del Sahel. Esso costituisce la prova più imponente e drammatica di questo fenomeno ben noto a tutti i Paesi dell’Africa centrale.
Attualmente la parte Nord del Lago, il cosiddetto ”Northern Pool” non esiste in pratica più, essendosi ridotti al minimo gli afflussi del fiume Yobè a causa della progressiva riduzione delle precipitazioni nel Nord Nigeria in cui ricade il bacino imbrifero del fiume. Resiste ancora alla siccità la parte meridionale del Lago, il cosiddetto “Southern pool” alimentato dal Chari, di gran lunga il più importante immissario del lago, la cui portata rappresenta il 70% degli apporti idrici lacustri.
I dati meteorologici degli ultimi anni si sono confermati mediamente sfavorevoli e ciò che resta del Northern Pool sembra destinato a prosciugarsi lentamente.
Il Southern Pool, alimentato dal Chari, che riceve anche le acque del fiume Logone, i cui bacini imbriferi consentono ancora apporti idrici di un certo rilievo, ha ciononostante gravemente risentito anch’esso delle mutate condizioni climatiche per subire ulteriori riduzioni di superficie.
L’equilibrio idrico del lago sembra essersi rotto definitivamente e la riduzione progressiva di questo mare interno, con la sua temuta scomparsa, implica conseguenze disastrose per le economie agricole, della pastorizia e della pesca delle numerose popolazioni rivierasche di Ciad, Niger, Nigeria e Camerun. La “morte” del Lago Ciad eliminerebbe quella che ancora oggi sembra costituire una barriera naturale contro il processo di desertificazione in atto che potrebbe spingere ancora più a Sud una massa di diseredati sempre più poveri ed affamati.
GLI AIUTI INTERNAZIONALI
Milioni di dollari sono stati spesi negli ultimi 40 anni per tentare di contrastare questa catastrofe ecologica che si va consumando nelle aree rivierasche dei quattro più importanti paesi del Sahel, mediante la perforazione di migliaia di pozzi per l’alimentazione umana e del bestiame, programmi di riforestazione, creazione di piccoli comprensori irrigui a partire dall’emungimento di falde residue non più alimentate dalle acque lacustri e molti altri “microprogetti” realizzati in fretta nel nobile tentativo di arginare un progressivo degrado ambientale e sociale.
Tali interventi, numerosi e puntuali, hanno avuto il merito di salvare qualche vita umana e di ritardare le conseguenze della desertificazione, ma hanno lasciato insoluto il problema principale: la graduale scomparsa del lago.
Malgrado la generosità e l’emergenza che spesso hanno caratterizzato tali interventi, cui bisogna riconoscere gli immediati benefici effetti, occorre però rilevare che, in diverse occasioni, essi si sono dimostrati, una volta terminato il positivo impatto di brevissimo periodo, la causa di ulteriore degrado dell’ambiente poiché l’afflusso concentrato di popolazioni e bestiame nelle aree di progetto ha accentuato lo sfruttamento di risorse naturali residue quali l’esaurimento delle falde idriche causato dall’eccessivo emungimento, fenomeni irreversibili di degrado del suolo dovuti ad “overgrazing” per eccessiva concentrazione di bestiame, distruzione degli ultimi residui di savana arbustiva o arborata per la eccessiva raccolta di legna per uso domestico, e così via.
Ma non solo progetti “puntuali” sono stati finanziati nel tentativo di aiutare le locali popolazioni: negli anni ’60 furono realizzati lavori imponenti per irrigare territori intorno al lago Ciad.
Oggi, a 50 anni di distanza, di quei 4.000 Km di canali che avrebbero dovuto garantire la sopravvivenza alimentare delle popolazioni rivierasche del Ciad, non resta più alcuna traccia.
La realtà è ben diversa e nessuno può illudersi di modificarla con una miriade di interventi, lodevoli sul piano umano, ma destinati ad essere rapidamente “assorbiti” da un Sahel che può essere salvato solo ripristinando gli equilibri idrici alterati; viceversa le dune del deserto sono destinate a sostituirsi gradualmente alle acque del lago con tutte le conseguenze ecologiche e sociali che il fenomeno è in grado di provocare.